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mercoledì 17 agosto 2011

Dick e i riots


Due giovani di 20 e 22 anni sono stati condannati a quattro anni di reclusione per aver incitato, tramite social network, a partecipare ai riots che imperversavano in UK la settimana scorsa. Uno reo di aver creato una pagina evento su Facebook chiamata "Distruggiamo in Northwich Town", mentre l'altro aveva creato la pagina "I riots di Warrington". La polizia, su segnalazione di altri utenti, ha chiuso preventivamente le pagine e nessuno di entrambi gli eventi ha preso piede.
Una misura mirata ad essere sensazionale in maniera tale da funzionare da paradigma: l'istigazione a delinquere sui networks "pesa" come quella del mondo reale, se non di più (anzi direi decisamente di più). In linea con Cameron che aveva detto che la "peante mano della legge" si sarebbe fatta sentire. Da parte labour e libdem si sta alzando un coro di critiche, soprattutto riguardo la misura della pena. Si parla soprattutto di mancanza di proporzionalità, infatti nessuno di quelli che hanno partecipato effettivamente ai riots, anche se colti in flagrante, hanno ricevuto una pena così severa.
Personalmente, più che mancanza di proporzionalità, mi sembra che si voglia condannare l'intenzione a delinquere. E mi ritorna in mente il racconto di (quel genio di) Dick, Rapporto di Minoranza, con i suoi precrimini e i precogs. Che i social network diventino i nostri precogs? 

venerdì 12 agosto 2011

Il manifesto di Moore sui riots ed il fact check.

Alan Moore, per chi non lo sapesse, è un famoso autore di fumetti inglese, tra cui il celeberrimo "V for Vendetta" (di cui è sicuramente più conosciuta la trasposizione cinematografica). Tale opera è stata rievocata in rete e non, ultimamente, per le analogie con i recenti fatti di Londra. Infatti, il finale di tale graphic novel vede il Parlamento inglese zompare all'aria grazie alle mirabolanti azioni dell'anarchico V, con la partecipazione all'evento di tutta la popolazione londinese, sensibilizzata precedentemente dallo stesso V.

Bene. Molti si sono chiesti che cosa pensasse Moore degli eventi che, in parte, sembra aver presagito con la sua opera. Tra questi vi è sicuramente Mattia Bernardo Bagnoli che, a sua detta, ha cercato di contattare Moore, come ci riporta nel suo blog, riuscendo alla fine ad ottenere un testo rilanciato dal website Linkiesta. Il testo, con traduzione inglese annessa, è subito rimbalzato in rete creando clamore (come tutto ciò che Moore fa), ripreso anche da professionisti del settore, come gli autori di Don Zauker, che commentano ironicamente come in Italia, invece, ai fumettisti "si fanno solo domande sul fidanzamento di Paperino e Paperina, la camicia di Tex o l’amore tra Eva e Diabolik".

Il testo condanna gli atti di sciacallaggio e vandalismo avvenuti in Inghilterra e promuove come i "veri anarchici" (Moore è un noto anarchico e il personaggio di V è liberamente ispirato, a detta del suo autore, a Bakunin) coloro che hanno ripulito volontariamente le strade di Londra e delle altre città.

Sebbene il contenuto del testo non mi sorprenda, per quella che è la mia conoscenza di Moore, rimango un po' stranito da parte del "mago" inglese di affidare i suoi messaggi a questa forma comunicativa. Quindi faccio due controlli. Primo cerco traccia della notizia su siti esteri. Ma non ve ne trovo nessuna. Dopodiché rileggo attentamente il blog di Bagnoli nel quale scrive che ha "provato ogni strada" per contattare l'autore inglese ma inutilmente, finendo col contattare il "suo website" dal quale hanno risposto 
«Mr Moore non rilascia interviste ma ha preparato una dichiarazione». E qua i conti cominciano a non tornare. Moore non rilascia interviste... Davvero? Essendo un aficionado dei suoi lavori ed essendone uscito uno recentemente, mi ricordo di averne letta una recentemente sul Guardian. In più, sempre cercando in rete, vi è addirittura un sito che raccoglie tutte le interviste rilasciate da Moore. Come si può ben vedere il fumettista non si risparmia nel dire la sua a giornali et similia. In più m'interrogo quale sia il website contattato da Bagnoli. In rete esistono diversi website dedicati a Moore, ma dalle mie ricerche in rete (ma come già sapevo) uno solo è gestito da Moore, il sito Dodgem Logic. Ovviamente nessuna traccia delle sue dichiarazioni sui riots. Così come anche sul principale fan website dedicato all'autore.

Bagnoli chiosa nel suo post, riferendosi al famigerato website (ma mettere un link?) "Ho chiesto subito se quel materiale fosse stato preparato espressamente in seguito alla mia richiesta o fosse una press release generale. Nessuno mi ha mai risposto. Ora, poiché preferisco venire accusato di essere troppo scrupoloso piuttosto che un pagliaccio, non pretenderò che queste parole siano un’esclusiva – non l’ho fatto nemmeno negli articoli che ho scritto per l’ANSA e La Stampa, dove stralci del materiale sono stati pubblicati". Io mi sarei più che altro chiesto se il testo fosse originale. Non sorprende, infatti, la frase finale in cui dice che di tale materiale "sul web, per ora, non sono riuscito a trovare traccia".

Proprio questa mattina avevo visionato un video del movimento Zeitgeistitalia, in cui si spiega "come destreggiarsi nella giungla delle notizie ed evitare di farsi prendere in giro". Tal video si propone come guida per le notizie a fondo scientifico, ma va bene come atteggiamento generale per qualsiasi notizia, visto che non è altro quello che viene definito "fact check". Ed alla prova del fact check tale notizia sembra essere piuttosto deboluccia.

Trovo anche un pò paradossale che entrambi i contenuti (manifesto di Moore sui riots e video di Zeitgeist sul fact check) siano stati rimbalzati dall'account Twitter di Informarexresistere.

Spero che il testo diffuso sia effettivamente di Moore, in caso contrario mi convinco sempre più dell'idea che la rete e la relativa informazione, soprattutto in Italia, diventi un mare magnum in cui sia sempre più difficile distinguere il vero dal falso.

Patrimoniale? No grazie, siamo liberali.

Leggo su LetteraViola che il senatore Paolo Guzzanti, in un editoriale su IlGiornale, ci spiega gustosamente che le strombazzate richieste, da parte dell'opposizione e della CGIL, di patrimoniali sono figlie della logica capovolta del calvinismo. Il Guzzanti-pensiero ci dice che in Italia il saper fare soldi non è una virtù morale ma bensì una colpa perchè il denaro viene visto come "sporco".

Il senatore Guzzanti, tanto per intenderci, è anche l'autore del Blog Rivoluzione Italiana, chiamato così perché, ci spiega, "l’Italia non ha mai avuto la sua rivoluzione democratica e borghese " e che dopo il fascismo "è... ...caduta sotto la cappa di piombo di un dominio culturale comunista con la gestione politica degli eroici ma insufficienti partiti democratici che hanno fatto la Repubblica e l’hanno mantenuta in piedi" (sorvolo i seguenti ed involontariamente comici commenti su SB).

Insomma, sembra che IlGiornale abbia scelto un campione liberale per spiegarci perché bisogna avversare questo "scempio" di patrimoniale.

Sarà un caso, ma mi viene in mente un commento di qualche tempo fa dell'economista Boldrin apparso su noiSeFromameriKa, in cui Boldrin faceva il pelo ai sedicenti liberali italiani, individuando il tratto distintivo nella "
paura storica della borghesia italiana per la redistribuzione di ricchezza e potere".

Il commento di Boldrin è del 26 maggio, l'articolo di Guzzanti è di oggi. Eppure il secondo sembra essere la logica risposta al primo. Insomma niente di nuovo sul fronte occidentale.

P.S: ma Guzzanti ha fatto il classico?

giovedì 11 agosto 2011

Il nepotismo in Italia? Esiste!

La rivista scientifica PlosOne ha recentemente pubblicato uno studio sul grado di nepotismo in Italia nell'ambiente universitario. L'autore, Stefano Allesina, un Assistant Professor presso il dipartimento di Ecology & Evolution e il Computation Institute alla University of Chicago, ha cercato di elaborare un modello statistico per interpretare la distribuzione dei cognomi lungo lo stivale e per capire quanto la ripetizione degli stessi possa essere indice di nepotismo.
Senza scendere nei tecnicismi (per quelli vi rimando alla spiegazione, in italiano, che lo stesso autore scrive per il blog noiseFromAmeriKa
), l'analisi ci svela il grado e la distribuzione del nepotismo in Italia. Quello che si scopre è per niente sorprendente: il nepotismo è endemico, è più diffuso al sud che al nord ed è più diffuso nei rami di ingegneria, legge e medicina. Interessanti, invece, le conclusioni che l'articolista deduce dalla sua analisi: la prima è che avere delle posizione "tenured" (cioè posto a tempo indeterminato) favorisce il nepotismo; la seconda è che la scarsa grandezza e l'autoreferenzialità dei settori universitari fa sì che i baroni li possano controllare più facilmente; l'ultima è che chi valuta i candidati nei concorsi non ha motivazioni ad assumere i migliori in quanto non è costretto a pagare le conseguenze di ciò.

Le conclusioni che Allesina trae mi trovano completamente d'accordo. L'Università italiana se si vuole svegliare e mettere al passo con il resto deve sposare una cultura della meritocrazia che è ancora lungi dall'essere attuata, la Riforma Gelmini in tal senso è assolutamente inadeguata, le norme anti-parenti sono solo un tentativo frustrato di avversare il nepotismo. In realtà, ciò che servirebbe è semplice. Guardando alle conclusioni tratte da Allesina si capisce come il loro minimo comun denominatore è la mancanza di controllo, o meglio revisione, dell'operato (dalle assunzioni alla produttività) all'interno delle Università. In passato si era tentato con il CIVR (
Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca) di esaudire questo compito. Fallito questi si è passato alla costituzione dell'ANVUR (Agenzia di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) che però è lungi dall'essere particolarmente attivo, come potete giudicare voi stessi dallo stato del sito web.

Insomma, come sempre in Italia, sembra che ai "controlli" ed al lavorare sub iudice vi sia una certa allergia.

Che il problema dell'Università italiana sia alla fine lo stesso della politica? Probabile.

domenica 7 agosto 2011

Il downgrade degli USA. Di chi è la colpa?

L'America ha subito un downgrade dei propri titoli di Stato. La notizia ha fatto il giro del mondo causando, giustamente, allarmismo e aprendo scenari fino a poco tempo fa impensabili quali la Cina a chiedere a gran voce garanzie sul debito di cui è, in parte, creditrice.

Ovviamente la stampa, specializzata e non, si è scatenata nell'analisi della situazione cercando ovviamente il "colpevole" (che è poi quello che maggiormente interessa al lettore). E così, prendo ad esempio i giornali italiani, c'è chi individua il colpevole nell'attuale presidente degli USA, Obama, oppure chi addossa le principali colpe alla precedente amministrazioni, leggi Bush, ricordando come il debito americano sia schizzato alle stelle grazie a spese folli per le guerre intraprese e i tagli fiscali selvaggi.

Qual'è la verità? Difficile da dirsi per l'uomo medio che di economia e politica estera ne capisce fino ad un certo punto. Probabilmente entrambe le cose sono vere o forse l'una è più dell'altra. Difficile da stabilire. La causa di tante opinioni, in fondo, è il report di S&P che declassa gli USA da una tripla A ad un AA+. Ed andandosi a leggere il report ci si rende conto semplicemente di due cose. La prima è che S&P è un'agenzia di rating e quindi fa il suo lavoro, che è quello di fare una "previsione" di quanto gli USA riusciranno a ripagare il loro debito e quindi dell'affidabilità dei suoi titoli. Vi è quindi un'analisi della situazione americana, un quadro per lo più oggettivo, basato su parametri stabiliti a priori. La seconda, conseguente alla prima, è che, più che focalizzarsi sulle cause (chi ha speso di più? chi ha tagliato di più?) della situazione terribile (?) in cui si trovano gli USA, si tenta di prevedere quello che succederà nel breve periodo. E qui il report è chiaro, basta leggere l'overview del documento diffuso da S&P: "The downgrade reflects our opinion that the fiscal consolidation plan that Congress and the Administration recently agreed to falls short of what, in our view, would be necessary to stabilize the government's medium-term debt dynamics". Quindi il rating è negativo perchè il Congresso, ad ora, ha attuato politiche insufficienti (a detta di S&P) come contromisure per la situazione in cui versano gli US. Più chiaramente ancora è ripetuto poche righe sotto: "The downgrade reflects our view that the effectiveness, stability, and predictability of American policymaking and political institutions have weakened at a time of ongoing fiscal and economic challenges to a degree more than we envisioned when we assigned a negative outlook to the rating on April 18, 2011". Quindi, in conclusione, il giudizio di S&P ci dice una cosa molto semplice: che repubblicani e democratici non riescono a mettersi d'accordo in un momento delicato e che questo grava sulla situazione dell'america. Chissà perchè si preferisce scrivere fiumi di inchiostri nel gioco dei "buoni" e dei "cattivi". Ed a me resta che molti il report non l'abbiano neanche letto.