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lunedì 25 luglio 2011

Giornalisti frustrati?

Ho buttato un occhio sul documento di Andrea Breivik e su alcune sue dichiarazioni. Ad esempio quando dice che ha fatto la cosa giusta perchè bisogna fermare l'avanzata dell'alleanza marxista-islamica. E posso non notare le similitudini con la campagna elettorale per l'elezioni del sindaco di Milano, dove il candidato del centrosinistra, il "comunistissimo", ex -terrorista Pisapia era accusato di essere, senza soluzione di continuità, in combutta con rom e islamici ed al tanto questionato discorso di Vendola sugli stessi rom in piazza Duomo. Direi che in entrambi i casi se Il Giornale o Libero non abbiano usato le parole "alleanza marxista-islamica" poco ci è mancato.

Mi chiedo allora se ci può essere un filo rosso che conduce da un certo tipo di stampa, strillona e prevenuta, a le azioni di Breivik. In fondo, anche a livello locale, un Libero, un IlFoglio od un IlGiornale norvegesi (o qualcosa di simile) possibile che esista.

Da questo punto di vista mi viene in soccorso l'editoriale sul primo giornale di destra dello UK, il Daily Telegraph, che porta la firma di Boris Johnson, sindaco conservatore di Londra. Johnson enuncia in maniera abbastanza semplice e diretta un pensiero essenziale: è inutile perdersi nella ricerca di una motivazione ideologica nella testa di Andreas Breivik.  E sottolinea come, anche se certi argomenti siano stati trattati con una certa similarità dai mass media di stampo conservatore in UK, ben poco servono a spiegare le mosse dell'attentatore. Quello che l'attentore mostra di sé, nelle 1500 pagine di editoriale, è un disturbo della personalità narcisistico che lo porta a trovare nell'estremismo cristiano-ariano il suo motivo di affermazione. Non è un caso che il suo modus operandi assomigli, ci ricorda Johnson, più a Micheal Ryan o Thomas Hamilton che a un attentatore islamico suicida od una cellula terroristica.

Il punto di vista di Johnson, opinabile ma condivisibile è comunque, da un certo punto di vista, un'ottima risposta a chi, dall'altra parte cercava di far passare l'idea di un'"immagine speculare di un terrorista islamico, un uomo spinto da un'ossessione ideologica, identica ma capovolta". L'ideologia, qua, è subordinata alla psicopatologia dell'individuo (non diceva qualcosa del genere Chomsky?). Interrogarsi sulla prima non svelerà il paradigma della seconda. Al massimo bisognerebbe fare il processo inverso, aggiungo io.

E in Italia, invece, i giornali di stampo conservatore come hanno affrontato la cosa? Tra le figure barbine riguardo l'attribuzione dell'attentato ad Al Qaeda, ci propinano editoriali disgustosi (scusate l'eufemismo). Sorvolando su Feltri ed il suo scritto infantile, praticamente incommentabile (a quando un TSO?), soffermiamoci un attimo su questo editoriale per IlGiornale di Magdi Allam. Praticamente Allam dà ragione alle manie narcisistiche di Breivik e dice che per "fermare l'odio l'Europa deve mettere fine alla politica delle porte aperte". Ergo per non avere altri Breivik dobbiamo dare ragione a Breivik. Se mi passate la similitudine è come dire che per contrastare una malattia non bisogna trovare la cura e fare prevenzione ma toglierci i malati dai piedi. Vogliamo dirlo? Prese di posizione ideologiche.

A questo punto però, tenendo in mente l'editoriale di Johnson faccio il percorso inverso: se l'ideologia è il paravento della psicopatologia forse la strage in Norvegia e le reazioni di parte della stampa italiana, ci dicono qualcosa più che sullo stesso Breivik su alcuni giornalisti nostrani: che siano anche loro, non dei killers certo, ma delle penne frustrate?


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